Ho un messaggio sul cellulare...
“Ciao Viviana. La roba di tua mamma è pronta. Ho sanificato il sacco e anche la biancheria all’interno così come tutti gli oggetti personali che aveva”.
Di mia mamma è rimasto un sacco.
Un sacco come quello dove ti hanno messo la sera che te ne sei andata. Una telefonata alle 2215 di un martedì di gennaio, il giorno in fondo ha poca importanza.
Ho chiesto di vestirti, di metterti in ordine. Tu ci tenevi tanto.
Mi hanno detto che non potevano. Ho voluto pensare che abbiamo fatto uno strappo alle regole ma non lo saprò mai.
So che non ti hanno lasciata sola, qualcuno ti ha tenuto la mano fino al tuo ultimo respiro, qualcuno lo ha fatto le sere prima, parlando dolcemente e sussurrando di tenere duro anche questa volta. Egoisticamente, lo facevano per me e per chi ti voleva bene ma eri stanca e sofferente.
Hai fatto sempre una grande confusione e se eri arrabbiata ti facevi sentire.
Te ne sei andata in gran silenzio, quasi a non voler disturbare.
Sorrido: un’uscita di scena in grande stile.
Ci siamo ritrovate in una giornata di sole. Tu là e io fuori. Eravamo sole, Lo siamo state tante volte ma ci siamo sempre fatte coraggio. Ho provato ad immaginarti vicino a me. Hai vinto tante battaglie, questa è andata persa. In questa non ero lì a prenderti la mano, ad accarezzarti, a leggerti qualcosa. Ti sarebbe bastato aprire gli occhi e vedermi. Non è colpa mia non ho potuto venire, non mi hanno lasciato e tu potrai scusarmi?
Mamma ci siamo amate, detestate, arrabbiate e coccolate. A volte sei stata dura, a volte hai sbagliato, a volte ho sbagliato però tu eri la mia mamma.
Quella mamma che pianse quando i dottori le dissero che quel pargoletto che teneva in braccio doveva essere operato. Papà ti abbracciò e insieme mi portaste a casa. Ma tu eri forte, mi facesti curare. Trovasti un grande ospedale e io guarì.
Mi hai sempre amato, forse troppo, forse per te non era facile accettare che io facessi la mia vita. Forse avevi semplicemente paura di perdermi.
Tutti mi ripetono che mi volevi un bene immenso, che c'era tra noi un legame indissolubile.
Indissolubile fino a quando questo maledetto virus non ti ha portato via da me.
Avrei voglia di urlare tutto il mio dolore, salire su una montagna e gridare. Il dolore è prigioniero dentro di me, non mi lascia libera di pensare a te senza piangere, senza non sentire male.
Di dolore vi è pieno il mondo lo so. I lutti vanno elaborati lo so. Il tempo guarisce le ferite ma solo in superficie. E ogni nuova ferita ne fa sanguinare una vecchia. Perché di soffrire non ci si abitua, si diventa più duri, possono scendere meno lacrime tutto qua.
Un pezzetto di te è rimasto nel cuore di chi ti ha conosciuto, che ha saputo cogliere di quell’animo spesso arrabbiato e dal carattere irascibile, dolcezza e genialità.
Un pezzetto di te è rimasto anche negli amici di vecchia data che sono venuti a salutarti.
Sulla libreria bianca in entrata ho appoggiato una tua foto. O meglio quel che ne rimane. È una foto strappata.
Anni fa ti chiesi il perché e tu mi dissi che c'era qualcuno che non ti garbava. Niente di più.
La foto è in bianco e nero. Sei ad un concorso di bellezza. Dietro di te si intravede una scritta “Tiva Cristo”, la traduco in Unione Sportiva Cristo. L’Unione sportiva è quella del calcio, quella degli anni fiorenti dell’Alessandria Calcio e il Cristo un quartiere popoloso di Alessandria. Hai la fascia al collo e ti hanno appena consegnato un grande mazzo di fiori.
Quanto sei bella non finirò mai di dirlo. L’ho sempre pensato. Hai capelli lunghi neri ondulati.
Indossi una maglia e una gonna lunga con delle rose in rilievo. Indossi un sorriso radioso. I tuoi occhi scuri e penetranti guardano dentro l’obiettivo della macchina fotografica. Giro la foto e leggo “1956-57”. Avevi solo 16 anni ma sembravi già una donna. Guardo ancora attentamente la foto, cerco dei dettagli che potrebbero essermi sfuggiti, e l’occhio cade sulle tue mani. Sono mani giovani, ancora da bambina. Non ricordo di averle mai viste così.
Fu proprio in quegli anni che conoscesti papà. Un uomo molto bello, elegante, brillante.
Trovo in un album di famiglia un'altra foto in bianco e nero: papà con i basettoni, vestito sportivo alla guida del sidecar, mamma a fianco con il foulard che le avvolge i capelli e grossi occhiali scuri.
Dicono, chi li ha conosciuti, che il loro sia stato un grande amore.
È sera, l'aria si è rinfrescata, guardo fuori dalla finestra. Il mare si confonde con il cielo è un tutt'uno. Non ti vedo ma ti sento.
"Ciao cosa fai?" "Fumo una sigaretta insieme a papà. Quella della sera"
" Ora siete insieme, sei felice?".
"Si come un tempo, ci facciamo compagnia. Papà dice che lì è tutta una grana".
"Si le cose non vanno bene".
"Scusa per non esserci stata, ma non potevo lo sai".
"Lo so. Forse in quel momento no. Ho pensato che eri diventata proprio stronza".
"Mi conosci non l'avrei mai fatto".
"Eri stanca vero? Eri combattuta se rimanere qui con me o andartene. Sbaglio?".
Non mi rispondi. Non saresti tu.
"Avevo ancora bisogno di te, anzi ho bisogno di te. Avrò tanti ostacoli da superare e tu non sarai qui a tendere la mano”.
“Sei mia figlia no? quante cose serie ho dovuto affrontare”.
“Eravamo insieme però”.
“Sei mia figlia, ce la farai come ci sono sempre riuscita io”.
"Io, noi ci saremo per sempre. Guarda fuori: ci sarà una stella che brilla più delle altre, quelli siamo noi. Le risposte a tutte le domande le hai dentro di te. Le hai sempre avute, le avrai per sempre".
" Dici? Ci proverò. Ancora una cosa: se puoi stasera vieni a darmi una carezza mentre mi addormento. Dai un bacio a papà".
"Smack" Avvicini la mano alla bocca e mi mandi un bacio come sempre.
C'era un mazzo di rose vicino a te, ho fatto scrivere : “ La tua bambina”.
Lo sarò per sempre finché un giorno ci ritroveremo.
Ti voglio bene ❤️
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